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Zika e leggi anti-aborto, la tragedia delle donne del Salvador
FOTOREPORTAGE Il virus può causare gravi malformazioni al feto. Ma nonostante l’epidemia in corso, nel paese centroamericano qualsiasi interruzione di gravidanza viene punita. Anche con 50 anni di prigione
di Nina Strochlic – fotografie di Nadia Shira Cohen
Lo scorso aprile, l’infermiera Julia Pineda stava facendo i suoi giri di controllo all’ospedale di Suchitoto, una cittadina sulle rive di un lago nel Salvador, quando le è comparso un rash cutaneo. Quando i suoi sintomi sono aumentati (febbre alta, occhi arrossati), la trentaduenne ha consultato una collega, che le ha fatto una diagnosi preliminare: infezione da virus Zika. Pineda era incinta di 10 settimane del terzo figlio, ed era terrorizzata.
Il feto che cresceva dentro Pineda stava combattendo lo stesso virus che gli scienziati hanno ritenuto responsabile, in tutta l’America Latina, della nascita di migliaia di bambini con microcefalia, una malformazione per la quale i neonati presentano un cranio di dimensioni sotto la norma e gravi anomalie del cervello. Un altro terribile pensiero ha attraversato la testa della donna: la prigione. Temeva che, se avesse avuto un aborto spontaneo, sarebbe stata accusata di essersi liberata intenzionalmente del feto, un crimine che nel Salvador avrebbe potuto portarla dietro le sbarre per 50 anni.
El Salvador è uno dei sei paesi con le leggi più estreme contro l’aborto, considerato un reato in tutte le circostanze, anche nei casi di stupro o di incesto e indipendentemente dalle probabilità di sopravvivenza del feto o dei rischi per la vita della madre. Si tratta di una legge entrata in vigore nel 1998, trasformando un divieto solo parziale di aborto in totale. Il cambiamento è stato dovuto principalmente alle pressioni sul governo esercitate dall’arcivescovado. Lo scorso anno il parlamento ha rinforzato ulteriormente la legge aggiungendovi una clausola nella quale si afferma che la vita inizia nel momento del concepimento.
Da allora almeno 150 donne sono state perseguite dalla legge contro l’aborto. Secondo i dati ottenuti dalla Agrupación Ciudadana por la Despenalización del Aborto Terapéutico, Ético y Eugenésico, 49 sono state dichiarate colpevoli, e 26 accusate di omicidio. Per legge, i medici sono tenuti a informare la polizia se sospettano che una donna abbia avuto un aborto, che comporta una pena che va dai 2 agli 8 anni.
A volte, anche le donne che dicono di aver perso il feto con un aborto spontaneo nell’ultimo periodo della gravidanza vengono accusato di interruzione volontaria. Se dichiarate colpevoli, possono essere condannate per omicidio e trovarsi a scontare 50 anni in prigione. Gli attivisti hanno portato alla luce questo problema con un gruppo di donne, chiamate ” Las 17“, che sostenevano di essere state incarcerate per un aborto che non avevano commesso. Il loro numero sta salendo: oggi almeno 21 donne sono in carcere per aver violato il divieto, sebbene dichiarino di aver avuto un aborto spontaneo negli ultimi mesi di gravidanza.
La maggior parte di queste donne, quasi del tutto prive di istruzione e a basso reddito, sono state rappresentate nel processo da avvocati d’ufficio. In almeno due casi sono state rappresentate dal pubblico ministero. Le loro sentenze sono state emesse sulla base di prove come il cosiddetto “float test” che misura l’elasticità del polmone del feto per stabilire se era vivo alla nascita: si tratta di un’analisi ampiamente screditata dalla comunità scientifica. Non è raro che un pubblico ministero o un giudice deridano le donne per non aver istinto materno.
“Non c’è un altro paese in cui le emergenze ostetriche sono diventate un crimine in modo così sistematico”, commenta Charles Abbot, consulente legale per il Center for Reproductive Rights, che si è consultato con gli avvocati del paese sui processi del Salvador. A luglio, un gruppo conservatore ha sottoposto al parlamento una proposta che porterebbe la condanna minima per i casi di aborto a trent’anni di carcere.
El Salvador è già il paese più pericoloso al di fuori di una zona di guerra, e lo è soprattutto per le donne. Un ottavo delle donne del paese dichiara di aver subito violenze fisiche e psicologiche. Lo stupro è quasi un’istituzione a causa dalle gang in lotta tra loro per la gestione del traffico della droga, che controllano ampie zone del territorio.
Se la proposta per aumentare la pena venisse approvata, spiega Abbott, “risulterebbe nella legge più drastica al mondo. Se un uomo stupra una ragazzina e lei rimane incinta e abortisce, la condanna dell’uomo sarebbe tra i sei e i dieci anni. Quella di lei, fra i 30 e 50”. L’emendamento è in attesa del voto ma, la scorsa settimana, il partito liberale al governo ha presentato una controproposta: un progetto che permetterebbe l’aborto in caso di stupro, o se il feto non è vitale o mette in pericolo la vita della madre.
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